“Un tossicodipendente o muore o finisce in carcere. Io per fortuna sono finita in carcere”.
Inizia così la significativa testimonianza di Sandra Granzotto, 45 anni, gli ultimi 4 vissuti in carcere.
L’abbiamo ascoltata venerdì 7 marzo, durante l’iniziativa “Voci in prestito, testimonianze dal carcere”, organizzata anche con il contributo di CGIL, CISL e UIL.
Le donne detenute presso il carcere di Montorio, aiutate da Paola Tacchella, dell’Associazione MicroCosmo onlus, hanno avuto il coraggio di guardarsi dentro e di raccontarsi, attraverso una serie di racconti autobiografici, che sono confluiti in un libro presentato in occasione della Giornata internazionale della Donna.
Il testo dovrà viaggiare, di mano in mano, nelle scuole, nelle nostre case, nei luoghi della nostra quotidianità, perché è capace di mettere in relazione coloro “che stanno dentro” con coloro che “stanno fuori”.
I racconti sono veri, semplici e nello stesso potenti, scritti di proprio pugno dalle detenute; parlano delle loro vite difficili, molto spesso fatte di violenza e abbandono, della consapevolezza degli errori commessi, della voglia di riscatto e ci mettono in guardia: scivolare nel baratro è un attimo, non diciamo “tanto a me non capiterà mai”.
Le donne del carcere di Montorio non ci spingono a compassione ma ci insegnano che tutti e tutte siamo fatti di luci ed ombre: “tutte le persone, anche quelle che sembrano invincibili, hanno le proprie fragilità; alcune persone riescono ad affrontarle, altre invece no”, dice Sandra; la scrittura autobiografica “ci ha fatto sentire che contiamo ancora qualcosa, perché in carcere è facile sentirsi dimenticate”.
Queste donne ci regalano i loro pensieri più intimi per aiutarci a superare stereotipi e per insegnare a noi e ai nostri figli di non abbassare mai la guardia; scrive Sandra:
“Non ho ricordi di quando ero in III I.T.I.S., che un solo professore si fosse avvicinato a chiedermi cosa c’era che non andava. Era quell’anno il mio bivio, io lo individuo in quel momento” (…) “Tenere per mano i giovani, affiancarli per coltivare progetti, aspirazioni e sogni, indirizzarli verso le giuste scelte ed accompagnarli anche nei momenti critici, soffermandosi a farli riflettere, ne va del loro domani! E del futuro della società!”.
L’ultimo pensiero è di Georgia: “L’otto marzo è stata per me la giornata emblema per riunire tutte le donne, per vivere e condividere ogni problema che ci riguarda, ma allo stesso tempo per esprimere tutta la forza e la speranza che ogni donna ha in cuor suo” (…) “sono certa che per noi tutte, malgrado le cicatrici che ci portiamo dentro, sia stato un momento di orgoglio per ciò che siamo e per quello che intendiamo essere”.
Ci siamo dati appuntamento per l’anno prossimo: le ex detenute ci racconteranno cos’hanno trovato e cosa hanno dovuto ricostruire una volta “fuori”.