Mamme e crisi: arriva il figlio e se ne va il lavoro


In Italia una mamma su due con l’arrivo del primo figlio è costretta ad interrompere il lavoro e il numero cresce a 2 su 3 se i figli sono due.

Tempi di crisi insomma per le mamme italiane che hanno rinunciato in 800mila ad essere occupate negli ultimi due anni, con una percentuale di inattività attestata al 36,4% tra le donne dai 25 ai 34 anni.

E pesanti sono soprattutto le ricadute sui figli, infatti il 22,6% dei minori è a rischio povertà, di cui il 28,5% figli di mamme sole che, insieme a quelle di origine straniera e alle giovani donne, sono tra le categorie più colpite dalla crisi.

Del resto il basso tasso di occupazione femminile è figlio dell’assenza di servizi di cura all’infanzia e delle scarne misure di conciliazione tra famiglia e lavoro.

Insomma se la crisi è dura per tutti, per le madri lo è di più. Lo dicono i dati: nel 2010 l’occupazione femminile si attestava al 50,6% per le donne senza figli, ben al di sotto della media europea pari al 62,1%, ma scendeva al 45,5% già al primo figlio, sotto i 15 anni, per arrivare 35,9%con due figli e toccare quota 31,3% nel caso di 3 o più figli.

Nel solo periodo tra il 2008 e il 2009 ben 800mila mamme italiane hanno dichiarato di essere state licenziate o di aver subito pressioni in tal senso in occasione o a seguito di una gravidanza, anche grazie all’odioso meccanismo delle “dimissioni in bianco”.

Le interruzioni del lavoro alla nascita di un figlio per costrizione, che erano il 2% nel 2003, sono quadruplicate nel 2009 diventando l’8,7% del totale delle interruzioni di lavoro. E se la crisi ha confermato il triste record italiano sui tassi d’inattività, questo vale soprattutto per la componente femminile, in particolare per quella nella fascia più giovane e in piena età feconda (25-34 anni), che ha riguardato il 35,6% delle donne nel 2010 e il 36,4% nel 2011.

Anche quando il lavoro c’è, la sua qualità, nel caso delle donne, registra un peggioramento: nel 2010 è diminuita l’occupazione qualificata, tecnica e operaia, in favore di quella a bassa specializzazione, dalle collaboratrici domestiche alle addette ai call center. Dal punto di vista dell’orario di lavoro, l’incremento fatto registrare negli ultimi anni dal lavoro part-time deve essere letto attentamente, in tempo di crisi, soprattutto per le madri lavoratrici, visto che è dovuto quasi esclusivamente all’aumento del part-time involontario, non scelto cioè come opzione ma accettato per la mancanza di occasioni di lavoro a tempo pieno, con una percentuale nel 2010 del 45,9% sul totale dell’occupazione a tempo ridotto, quasi il doppio della media UE27 (23,8%).

Tra le categorie più vulnerabili di fronte agli effetti della crisi ci sono le mamme di origine straniera e le mamme sole, i cui figli sono i più esposti al rischio di povertà. Ma l’orizzonte è scuro anche per le giovani donne che, nel caso in cui non abbiano conseguito la laurea e siano in possesso del solo diploma, fanno i conti con un tasso di occupazione ben inferiore a quello dei coetanei di sesso maschile: 37,2% contro il 50,8%.

Se buona parte, poi, dell’andamento dell’occupazione giovanile in questi ultimi 3 anni si deve alla crescita della componente atipica e ai lavoratori a tempo determinato, questo è vero soprattutto per le giovani donne. Una situazione, questa, che pesa sulle chance di rendersi autonome dalla famiglia di origine e di realizzare il desiderio di diventare madri. Dei 3 milioni e 855mila donne fra i 18 e i 29 anni, il 71,4% vive infatti con i genitori.

Inoltre dal 2009 si è interrotto in Italia il trend di aumento dei tassi di fecondità che si registrava dal 1995, infatti, nonostante il contributo demografico delle donne di origine straniera, la nascite annue tra il 2008 e il 2010 sono calate di 15mila.

L’articolo 37 della Costituzione dovrebbe assicurare alla madre lavoratrice tutele e garanzie, forse allora c’è qualcosa che non funziona…


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