Il fenomeno della violenza sulle donne, che non ha confini regionali o di contesto sociale, è in Italia all’ordine del giorno, le cronache ci raccontano con una scadenza quasi quotidiana episodi che arrivano al femminicidio. La scorsa settimana si è consumato il 105° femminicidio dall’inizio dell’anno, vittima una ragazzina di soli 17 anni.
Dietro alla frase del suo assassino, “mi ha lasciato, ho perso la testa”, c’è un ragazzo come tanti altri, non un mostro, né un pazzo e c’è la tragica e intollerabile ennesima sconfitta dell’educazione ai sentimenti e al rispetto.
Molti e complessi sono i fattori che concorrono a muovere la mano del femminicida, uno di questi è la non sufficiente messa al bando da parte di adulti e di agenzie educative della logica della legittimità da parte maschile del possesso e della supremazia del proprio bisogno su quello delle donne.
Famiglia, scuola, media, opinion leader dovrebbero essere mobilitati per cambiare questa cultura a partire dalla reificazione del corpo femminile: è il processo di disumanizzazione che consente di poter uccidere, massacrare in guerra come in famiglia.
Il femminicida non vede dall’altra parte del suo sguardo un essere umano, ma una sua proprietà, un suo diritto che non può essere disatteso .
Purtroppo, come ha bene evidenziato Michela Murgia nella sua recente lettera aperta al Direttore de ” La Stampa”, la cronaca dei femminicidi spesso non fa altro che perpetrare la cultura maschilista che arma la mano del femminicida. La donna sulla scena del delitto è solo una comparsa, mentre il protagonista è sempre il maschio, per lei, la vittima, non c’è neppure il sentimento della pietà.
E il fenomeno del femminicidio è solo una delle possibilità con cui gli uomini, ex fidanzati, amici, amanti, mariti, padri, parenti, esercitano la loro guerra contro le donne.
Altre forme di violenza meno eclatanti e molto diffuse sono: percosse, violenza psicologica, economica, morale, stolking.