Lavorare in casa paga ancora troppo poco. Secondo un rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, infatti, sono circa 52milioni, le persone, soprattutto donne, che sommano al lavoro domestico anche un’occupazione e nel farlo sono occupate in media un’ora in più al giorno degli uomini. Un’ora di tempo in più dedicato al lavoro, tra casa e ufficio, che invece gli uomini possono impiegare per il tempo libero. A confermarlo sono i risultati di una ricerca realizzata dall’Istat, insieme ad Inps e ministero del Lavoro, che analizza proprio i carichi di lavoro tra i due sessi.
Quello che emerge dal Rapporto di coesione sociale 2012 messo a punto è che le donne, nell’età tra i 25 e i 44 anni, hanno un’ora di tempo in meno da dedicare a se stesse rispetto agli uomini, schiacciate tra il lavoro dentro e fuori casa, tra mariti, figli e colleghi. Se la durata media complessiva di una giornata lavorativa per un uomo è di 8 ore e 6 minuti, per una sua collega donna sale a 9 ore e 9 minuti. Ma non solo. Se la donna in questione è anche madre, la sua giornata si allungherà fino a 9 ore e 28 minuti (in media), contro le 8 ore e 13 minuti che un padre dedica invece a lavoro e casa. La vera piaga restano le retribuzioni. È noto che in Italia gli stipendi, a parità di mansioni, sono differenti per uomini e donne. Secondo i dati Istat, però, questo divario non si starebbe assottigliando. Le retribuzioni medie giornaliere per gli uomini sono infatti di 96,90 euro (anno di riferimento 2011) contro i 69,50 euro di quelle corrisposte alle donne. Si tratta di dati generici, ottenuti da una media tra mansioni differenti (i dirigenti guadagnano molto di più) ed età diverse. Un lavoratore, e dunque anche una lavoratrice, con meno di 20 anni a fine giornata non guadagna in media più di 45,30 euro contro i 109,20 di uno con 40 anni di esperienza in più.
Le donne, però, hanno sempre una busta paga più leggera e un carico di lavoro maggiore a casa. “Colpa” dei figli, che portano spesso le sole madri ad usufruire dei congedi parentali: basti pensare che solo l’11% dei padri ne ha fatto domanda nel 2011. Ecco quindi il ricorso agli asili nido, in modo da permettere il riorno al lavoro attivo delle madri. Tra il 2004 e il 2010 il numero di bambini iscritti all’asilo è salito del 38% (dati riferiti ai soli asili comunali). Restano però ancora troppo pochi i servizi offerti in questa direzione, tanto che sempre più aziende si stanno organizzando con asili nido interni e servizi per le lavoratrici, che da un lato alleviano il carico per le donne, ma dall’altro rappresentano nuovi costi aggiuntivi, alleggerendo ulteriormente la busta paga delle donne, già più magra di quella degli uomini.