Ingannare sull’origine, per la Corte di Cassazione è frode in commercio


Costituisce reato vendere prodotti alimentari utilizzando una etichetta equivoca sia per il contenuto che per la scarsa leggibilità, in quanto idonea ad ingannare il consumatore sull’origine dell’alimento.

È ciò che si legge nella recentissima sentenza della Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. III, n. 19093/2013), la quale ribadisce e valorizza l’importanza della etichettatura come strumento che garantisce la trasparenza negli scambi commerciali tra acquirente e venditore. Per tale ragione, la Corte giunge a ritenere che integra gli estremi della frode in commercio (ai sensi dell’art. 515 c.p.) la vendita di pistacchi aventi un’origine diversa da quella, ambigua e troppo generica, dichiarata in etichetta.

La rinomanza dei pistacchi siciliani è a tutti nota: è, dunque, evidente che, se un supermercato offre in vendita pistacchi confezionati, nella cui etichetta si legge, in caratteri grandi, “sfiziosità siciliane” e, in caratteri più piccoli, quasi minuscoli, “pistacchi sgusciati Mediterraneo”, non si può essere certi di aver effettivamente acquistato pistacchi prodotti in Sicilia, data la vastità dell’area del Mediterraneo, che comprende diversi Paesi tra i quali, ad esempio, la Turchia.

Risulta, pertanto, giustificata, secondo la Corte, non tanto la sanzione amministrativa prevista dalla legge n. 4/2011, quanto la più grave pena della reclusione fino a due anni o della multa fino a 2.065 euro, secondo quanto disposto dall’art. 515 c.p.

Una etichettatura che non fornisce informazioni adeguate, precise e corrette sulle caratteristiche del bene acquistato sicuramente truffa il consumatore e svaluta, squalifica e svilisce le qualità del prodotto. Occorre, invece, che sia garantita la libertà di ognuno di individuare, tra la molteplicità di prodotti che il mercato offre, quello che, previa attenta e consapevole valutazione, soddisfa maggiormente i propri gusti o le proprie aspettative. Di conseguenza, risulta evidente come l’informazione relativa all’origine, ovvero, al luogo geografico di produzione, sia in grado di orientare ampiamente la scelta finale del consumatore.

A tal proposito, la Corte di cassazione ricorda che esistono norme chiare e specifiche, tanto a livello nazionale quanto a livello comunitario, che sottolineano la necessità di riportare in etichetta informazioni chiare e leggibili sulle caratteristiche dei prodotti alimentari, con il fine di evitare che omissioni o false indicazioni possano indurre in errore il consumatore. Viene, infatti, richiamato, non solo il d.lgs. n. 109/1992 che disciplina l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari, ma anche la più recente legge n. 4 del 2011, in materia di etichettatura e qualità degli alimenti, la quale, pur non avendo ancora ricevuto piena attuazione, perché in attesa della emanazione degli opportuni decreti interministeriali, espressamente prevede l’obbligo di indicare in etichetta, tra le altre informazioni, il luogo di origine o di provenienza degli alimenti, proprio al fine di rafforzare la prevenzione e la repressione delle frodi alimentari. La legge citata, tra l’altro, attualizza, con attenzione e rigore, il bisogno diffuso e condiviso della collettività di disporre di dati chiari, trasparenti e non ingannevoli, al fine di procedere agli acquisti con sicurezza e fiducia, senza dover convivere con la sensazione di aver subito una truffa.

Tratto da Il punto di Coldiretti


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