Lavoro, casa, compagno/marito, figlio. Ecco la lista dei desideri delle giovani italiane d’oggi, dalla quale emerge che, nell’ordine delle priorità, i figli sono all’ultimo posto. Non perché le giovani donne non li desiderino, ma perché, ed è questa la parte più deprimente, non ritengono di poterseli permettere o di essere in grado di garantir loro un’infanzia serena. Gesto di responsabilità quindi. E come dar loro torto? Prima il dovere: riuscire a mantenere una famiglia e poi il piacere: crearsene una. E così, sebbene l’aspettativa di vita media sia scivolata ben in avanti, i bambini si ritrovano mamme sempre più in la con gli anni, generalmente tra i 30 e i 43 anni, età nella quale spesso hanno trovato o rinunciato a trovare una stabilità occupazionale nel mondo.
Secondo l’ultimo report di Save the Children “in Italia quasi 2 donne su 3 sono senza lavoro se ci sono 2 figli mentre resta inattivo il 36,4% delle donne dai 25 ai 34 anni”. “Solo nel periodo tra il 2008 e il 2009 – si legge nel dossier – ben 800.000 mamme hanno dichiarato di essere state licenziate o di aver subito pressioni a seguito di una gravidanza, anche a causa del meccanismo delle “dimissioni in bianco”. Sempre secondo Save the Children “Se nel 2003 le interruzioni forzate dal lavoro alla nascita di un figlio erano il 2%, nel 2009 sono quadruplicate diventando l’8,7% mentre l’occupazione femminile, che nel 2010 si attesta al 50,6% per le donne senza figli – ben al di sotto della media europea pari al 62,1% – scende al 45,5% già al primo figlio (sotto i 15 anni) per perdere quasi 10 punti (35,9%) se i figli sono 2 e toccare quota 31,3% nel caso di 3 o più figli”.
Ma è così? In Italia, oggi, è ancora possibile fare figli? L’argomento ha sempre suscitato un vivace dibattito tra chi sostiene che la paura nasca in realtà da un’insicurezza emotiva, più che economica e chi vede nella precarietà e nella mancanza di opportunità l’ostacolo principale. D’altra parte, sempre Save the Children, sottolinea che “la difficile condizione delle madri nel nostro Paese è uno dei fattori chiave che determinano una maggiore incidenza di povertà sui bambini e sugli adolescenti, con il 22,6% dei minori a rischio povertà”, un rischio che molte donne non se la sentono proprio di assumere. Anche perché “l’Italia è tra le nazioni europee che meno investono sui servizi per le famiglie e i bambini. Nel 2009, la spesa per la protezione sociale per famiglie e minori è stata l’1,4% del Pil, rispetto ad una media europea del 2,3%, con la conseguenza di una forte carenza di servizi di cura alla prima infanzia.
Nel nostro Paese, infatti, solo il 13,5% dei bambini fino a 3 anni viene preso in carico dai servizi, una percentuale lontanissima dall’obiettivo europeo del 33%”.Va da sé che “nonostante il contributo demografico delle donne di origine straniera, la nascite annue tra il 2008 e il 2010 sono calate di 15.000 unità”.
Ecco, adesso che all’Italia è stata revocata la procedura d’infrazione dall’Ue, con il conseguente scongelamento di un bel tesoretto, il Governo potrebbe pensare di tutelare un po’ di più le donne lavoratrici.
Secondo Bankitalia, infatti, se l’Italia passasse dal dato attuale di occupazione femminile (46,1%) alla media dell’area Euro (58,1%) si produrrebbe un incremento della ricchezza nazionale (Pil) pari a quella che abbiamo faticosamente accumulato in dodici anni dal 1998 al 2010. In sintesi: promuovere la presenza delle donne sul mercato del lavoro non è solo una questione di equità, è una questione di benessere, un investimento sul futuro di tutti.