Il tasso di occupazione femminile in Italia è tra i più bassi dell’area Ocse e le prospettive per il futuro non sono migliori.
A lanciare l’allarme è l’osservatorio dell’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che prevede un ulteriore rallentamento della crescita dell’occupazione nel Paese.
Sebbene le donne ottengano risultati scolastici e titoli di studio migliori rispetto agli uomini, il tasso di occupazione è solo del 47,2% rispetto alla media europea del 58,6%.
In Italia, si legge nell’outlook 2008, meno del 58% della popolazione in età lavorativa è occupato, rispetto a più del 70% nei paesi con il tasso di occupazione più elevato. Eppure gli italiani sono tra quelli che lavorano di più: nel 2007 la media è stata di 1.824 ore contro le 1.814 del 2006, un valore inferiore solo a Repubblica Ceca per cui sono state 1.985, Ungheria 1.986, Polonia 1.976 e Messico 1.871.
Quanto alle donne, i cui guadagni risultano tra l’altro minori rispetto agli uomini del 18%, il tasso di occupazione femminile è molto basso anche nella fascia di età più attiva tra i 25 e i 54 anni, risultando tristemente il terzo peggiore nei paesi Ocse dopo quelli Messico e Turchia.
Il rapporto sottolinea, inoltre, come le donne abbiano anche una minore probabilità di trovare un impiego buono e ben pagato.
Nel 2005, il 15% delle italiane occupate tra i 25 e i 54 anni aveva un contratto a durata determinata, contro solo il 9% della loro controparte maschile. Inoltre, in questa fascia d’età, le italiane con un impiego a tempo pieno guadagnano in media il 18% in meno degli uomini per ora lavorata, il 22% in meno nel caso delle donne con un diploma universitario.
L’analisi statistica contenuta nel rapporto Ocse suggerisce che “le persistenti pratiche discriminatorie nel mercato del lavoro sono un fattore chiave alla base di queste disparità”. Confermato anche dal fatto che le donne continuano a essere sottorappresentate ai vertici delle aziende: solo il 9% dei top manager è donna mentre, come confermano anche i risultati di una ricerca della Commissione Europea, una maggior rappresentanza femminile in posizioni dirigenziali sarebbe cruciale per la stabilità e la crescita economica.
Resta infine il problema della discriminazione economica: a parità di ruolo, di responsabilità e di competenze, le donne guadagnano generalmente meno dei colleghi maschi. Tra il 2008 e 2010 è diminuito anche dal punto di vista qualitativo il lavoro delle donne con professioni meno qualificate e un tasso di occupazione in declino soprattutto per le giovani, sia a causa delle difficoltà in ingresso sia per la nascita dei figli.
Manca proprio una cultura di genere. Secondo i dati raccolti, infatti, l’81% delle donne riconosce come disagio per i figli la presenza di una mamma lavoratrice, mentre il 64% è convinto di non poter instaurare lo stesso tipo di rapporto con il figlio avendo un’attività lavorativa. Ma i buoni esempi non mancano: realtà come Sodexo, ma anche Nestlè, Luxottica, Legacoop e Intesa San Paolo hanno messo in atto ‘buone pratiche’ all’interno delle proprie aziende per un equilibrio di genere. E sembra non abbiano sbagliato perché dall’osservatorio dell’imprenditoria femminile di Unioncamere emerge che negli ultimi 12 mesi le imprese “donne” hanno tenuto meglio ai colpi della crisi: tra settembre 2011 e settembre 2012, periodo durante il quale lo stock delle imprese italiane si è complessivamente ridotto di 29.911 unità, il numero di quelle in rosa ha fatto registrare nel complesso una lievissima riduzione, circa 593 in meno, attestandosi al valore di 1.435.123, pari al 23,5% di tutte le imprese italiane, registrando una crescita in Lazio (+1.149 imprese), Sicilia (+873), Toscana (+512) e Lombardia (+342).