Mi è stato più volte chiesto il perché di tanto interesse del sindacato sulla vicenda delle Officine Ferroviarie Veronesi, facendomi osservare che, pur essendo concreto il rischio di perdere più di duecento posti di lavoro, sono molte le realtà commerciali e artigiane che ne stanno perdendo a decine e che non fanno notizia.
Questo però non accade solo perché duecento persone, tutte insieme, sono più evidenti di piccoli gruppi di individui sparsi per la Provincia e nemmeno perché le OFV sono sindacalizzate. Piuttosto il motivo è dato dal fatto che le OFV a Verona sono la rappresentazione reale del periodo che stiamo vivendo.
Le OFV sono un’azienda che produce Treni, prodotti con alto impiego di manodopera, con alto valore aggiunto e soprattutto con diciotto mesi di commesse garantite. (Mentre la maggior parte delle imprese produce a vista, con prospettive e ordini di breve periodo). Inoltre, questa è una realtà storica, presente a Verona da oltre un secolo.
Nelle scorse settimane ho visitato l’azienda, accompagnato da chi vi era occupato. La cosa che più mi ha colpito sono stati i lavoratori, l’orgoglio che gli stessi hanno mostrato nell’illustrare le varie lavorazioni, il senso di appartenenza ad un’azienda leader nel settore, la consapevolezza della qualità del lavoro che richiede la produzione delle “casse” (come loro chiamano le carrozze dei treni).
Lasciare che aziende del genere si possano esaurire, accumulando oltre novanta milioni di debito, credo sia inaccettabile.
Ma questo accade per follia? No, certo. Accade perché qualcuno, probabilmente, ha deciso di non investire più una parte degli utili nell’impresa ma, viceversa, d’investire in attività più remunerative, come quelle immobiliari o le speculazioni finanziarie.
Nel caso specifico Paolo e Giovanni Biasi, dopo aver impiegato il loro capitale in varie industrie manifatturiere e aver ricevuto dalle stesse lauti guadagni, attraverso il lavoro di centinaia di persone, hanno pensato che sarebbe stato più remunerativo passare a guadagni diversi.
Se poi le scelte dei Biasi comporteranno decine e decine di milioni di debiti, con il rischio di chiusura di altre imprese e la perdita conseguente di centinaia di posti lavoro chi se ne importa. Prima di tutto contano gli interessi della famiglia, Biasi.
Certo, i problemi di coscienza che i Biasi avranno sono fatti loro e ne dovranno, prima o dopo, rendere conto a qualcuno che conta molto di più di noi. Ma la credibilità che stanno perdendo, o che hanno già perso, e la stima che potevano vantare di avere nella “loro” città è certamente persa e non tornerà certo attraverso i guadagni derivanti dalla finanza.
E pensare che, qualche tempo fa, qualcuno ci aveva avvertito di non adorare il vitello d’oro perché non avrebbe donato felicità o gioia di vita.