Sempre più donne al lavoro: è una necessità


Qualcosa è cambiato nelle famiglie italiane: sono più povere, spendono meno per frutta e verdura, usano meno l’auto, non vanno in vacanza ma al massimo tirano fuori le tende da campeggio. Ma non basta, la crisi sta modificando anche gli equilibri di genere. L’occupazione femminile, che da decenni saliva piano piano, per effetto della progressiva marcia in avanti delle donne italiane, della loro sempre maggiore istruzione, libertà, indipendenza e voglia di realizzazione, ha compiuto un piccolo balzo in avanti. Sta accadendo in tutta l’Europa.

La riduzione della produzione ha colpito, in un primo tempo, soprattutto i settori a forte occupazione maschile, come l’edilizia, mentre l’occupazione femminile ha tenuto di più.

Secondo un rapporto comunitario infatti, il divario di genere nel tasso di occupazione a livello Ue è sceso di circa 3,2 punti percentuali, dai 14,1 punti prima della crisi ai 10,9 nel primo trimestre del 2012. Gli uomini hanno perso di più, le donne hanno mantenuto le posizioni: anzi, in alcuni paesi, tra i quali l’Italia, hanno aumentato la partecipazione e l’attività lavorativa. Lo confermano anche i più recenti dati dell’Istat, che, nel segnalare il nuovo record di disoccupazione italiano (12,2%), avverte anche che, se la disoccupazione cresce per tutti, uomini e donne, queste ultime hanno registrato, nel maggio 2013, un aumento dell’occupazione dello 0,3% sul mese precedente e una riduzione del tasso d’ inattività (-0,4% su base mensile, meno 2% su base annua). Dal rapporto Istat sull’intero anno 2012 poi emerge che in Italia la disoccupazione era all’11,5%, e nello specifico quella giovanile era attestata al 35,3% e la disoccupazione di lunga durata era al 5,6%. In valori assoluti, l’occupazione complessiva, rispetto al 2008 (anno di inizio della crisi) è scesa di 506mila unità (62.000 in meno nell’ultimo anno, il 2012). In questo quadro, l’occupazione femminile fa eccezione alla valanga dei segni negativi. Infatti nel 2012 le donne che lavorano sono aumentate di 110.000 unità rispetto al 2011. Oltre alle occupate, aumenta il numero delle donne disposte a lavorare: la quota di quelle che passano verso le forze lavoro potenziali o la disoccupazione cresce dal 16,5 a circa il 24%”. Il segno positivo si deve a tre componenti: le lavoratrici straniere, quelle anziane, quelle spinte sul mercato dal lavoro dalla crisi. In altre parole: immigrazione, riforma delle pensioni, povertà. Le lavoratrici straniere sono cresciute di 76.000 unità (+7,9%), e questo è un fenomeno assai interessante: anche gli stranieri stanno pagando un prezzo alto alla crisi, ma il settore dei servizi e della cura delle persone resiste. Sull’aumento dell’occupazione femminile pesano poi le 148.000 ultracinquantenni che per effetto della riforma delle pensioni sono rimaste nel loro posto di lavoro: mentre il tasso di occupazione delle donne tra i 50 e i 64 anni è salito dal 34,8 al 40,5% (dal 2008 al 2012), negli stessi anni l’occupazione delle ragazze tra i 15 e i 34 anni è scesa dal 42,4 al 37,1%. A spiegare l’aumento dell’occupazione femminile è sicuramente l’effetto della crisi economica sui bilanci familiari. Su dieci persone che “escono” dall’inattività, sette sono donne, dice l’Istat. Che registra il fatto che quest’aumento dell’offerta di lavoro femminile è dovuto anche a nuove strategie familiari per affrontare le ristrettezze economiche indotte dalla crisi. Cresce anche la quota delle donne portatrici dell’unico reddito in famiglia, le coppie con figli in cui solo la donna lavora sono passate da 224mila del 2008 a 314mila nel 2011 fino a 381mila nel 2012 e sono adesso l’8,4% del totale delle coppie con figli. Nel nuovo esercito di donne arrivate sul mercato del lavoro per far fronte alle difficoltà economiche della famiglia, si notano soprattutto donne meridionali, spesso non giovanissime, con titolo di studio medio-basso, e con una forte diffusione del part time involontario.

La crisi, insomma, sta spingendo sul mercato del lavoro donne che prima se ne tenevano fuori, fenomeno che ha parecchi elementi critici e segnali d’allarme, legati alla bassa qualità dei lavori che adesso le donne accettano e prima non accettavano e al fatto che le giovani donne sembrano fuori da questo mini-recupero.


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