Donne in pensione a 57 anni e tre mesi? Si può fare, ma solo fino al 2015. Le lavoratrici, classe 1956, potranno infatti, anticipare l’uscita dal lavoro in presenza di 35 anni, almeno, di contributi. Dal primo gennaio ha preso il via l’ultimo triennio di operatività dalla riforma Maroni, che consente alle donne di andare in pensione all’età di 57 anni e tre mesi se dipendenti o a 58 anni e tre mesi se autonome, a condizione che scelgano il sistema contributivo.
Tale opportunità è sopravvissuta quindi alla riforma Fornero, per cui ancora oggi e fino al 31 dicembre 2015 le lavoratrici possono optare per la liquidazione della (vecchia) pensione di anzianità, in base ai predetti requisiti aumentati della speranza di vita di tre mesi e a condizione di avere la pensione calcolata con il sistema contributivo. L’opzione è possibile a patto che la decorrenza della pensione si collochi entro il 31 dicembre 2015, tenendo cioè conto delle finestre che in questo caso continuano ad applicarsi.
L’opzione risulta sicuramente meno vantaggiosa del retributivo, e può comportare una perdita in termini di pensione stimabile attorno al 20-25%. Però se una volta, quando l’età per la pensione della vecchiaia era fissata a 60 anni, si poteva essere d’accordo che non valeva la pena accettare la riduzione dell’assegno di pensione per anticipare un paio d’anni il ritiro dall’attività, ora, con l’età salita a 62 anni e 3 mesi (e continuerà a salire), la possibilità di lasciare a 57 anni e 3 mesi d’età (58 anni e 3 mesi le autonome) va valutata con maggiore attenzione.
Salvo chi ha maturato la pensione entro il 2011. Occorre ricordare, sottolinea lnps in una nota, che le novità sulle pensioni non toccano i lavoratori che hanno maturato entro il 31 dicembre 2011 i requisiti di età e di anzianità contributiva, previsti dalla normativa vigente a tale data (cioè in base alle regole previgenti alla manovra Fornero). Questi lavoratori, infatti, conseguono il diritto alla pensione secondo la vecchia normativa e possono chiedere all’ente previdenziale cui appartengono (Inps, Inpdap ecc.) la certificazione di tale diritto.
La totalizzazione retributiva. La legge di Stabilità ha inoltre inventato la totalizzazione retributiva. Con la novità interessante dell’estensione generalizzata a tutti i lavoratori, inclusi quelli della gestione separata (co.co.co. ecc.), l’invenzione cerca di mettere riparo alle vicissitudini di circa 610 mila lavoratori che hanno perso il precedente treno della ricongiunzione contributiva. La nuova totalizzazione fa conservare il diritto al calcolo retributivo della pensione, tuttavia, il calcolo avverrà per quote differenti, da parte dei singoli enti di previdenza, «sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento». Il che significa, per esempio, che potrà capitare che una quota di pensione venga calcolata con riferimento a stipendi incassati molti anni prima (quindi d’importo più bassi), a differenza della vecchia ricongiunzione in base alla quale tutta la pensione era calcolata sulla media delle retribuzioni degli ultimi anni.