Piaccia o meno le tradizionali reti sociali – quelle che hanno mantenuto finora la pace precaria – si stanno progressivamente strappando. Le famiglie hanno esaurito la pazienza e stanno finendo i soldi: lo dimostrano i negozi “compro oro”, il mercato immobiliare e l’andamento dei consumi di beni durevoli. La disoccupazione giovanile (15-24 anni) tra chi cerca un lavoro è al 39%, mai così alta dal 1992. E se questa è la media nazionale, immaginate cosa (non) accade nell’Italia del sud.
In questo senso arriva un buon segnale dal documento comune di Confindustria, Cgil, Cisl e Uil dello scorso 13 febbraio a Roma presso la sede dell’università Luiss Guido Carli: “Una formazione per la crescita economica e l’occupazione giovanile”.
L’accordo mette in risalto la necessità di portare la scuola, l’università e la formazione professionale al centro degli interessi del Paese e fornisce soluzioni praticabili e condivise su cui costruire un capitale umano qualificato. Il documento prevede la realizzazione di una più profonda sinergia tra programmazione formativa e programmazione produttiva, da raggiungere attraverso lo sviluppo strategico sul territorio di reti tra scuola, università e impresa per il miglioramento della ricerca industriale e delle competenze spendibili sul mercato del lavoro.
“Nei paesi più avanzati non c’è innovazione senza consenso sociale”. È questo il filo conduttore e la ratio del documento. L’Italia, infatti, non può crescere senza i giovani e la formazione deve essere al centro delle politiche del Paese se si vuole favorire la crescita economica e l’occupazione giovanile.
Per tutte queste ragioni d’ora in poi non solo la Felsa ma l’intera CISL in tutte le sue articolazioni anche alla luce dei processi di accorpamenti affronti il nuovo mercato del lavoro caratterizzato dal dato che su cento neoassunti 78 hanno un contratto no-standard.
La percentuale di laureati italiani che cercano fortuna all’estero, in dieci anni, è passata dall’11% al 28%. Non è più sana voglia di esplorare; è una diaspora, pagata con risorse pubbliche. Gli italiani con meno di trent’anni stanno diventando una generazione trasparente. Li attraversiamo con lo sguardo, anche quando diciamo di tenere a loro. Un atteggiamento pericoloso: la frustrazione potrebbe trasformarsi in rabbia e avere conseguenze drammatiche. Se vogliamo mani nuove e robuste sul volante italiano, non offendiamo i guidatori di domani: altrimenti ci lasceranno a piedi, e avranno ragione.