Uno degli strumenti attendibili per misurare l’andamento occupazionale e produttivo nel Veneto è dare una chiave di lettura alle ore di cassa integrazione guadagni autorizzate dall’INPS.
E’ opportuno sottolineare che si tratta di ore autorizzate. Nel 2009 solo il 48% delle ore autorizzate sono state utilizzate. La richiesta d’autorizzazione del doppio dello ore di cui poi se n’è avuto necessità denota un elemento d’incertezza produttiva e di mercato.
Oltre alla cassa integrazione ordinaria, per far fronte alle richieste di diverse tipologie d’imprese, viene concessa anche la cassa integrazione in deroga. In deroga alle normative e riservata ai dipendenti di quelle imprese che non avrebbero diritto per vari motivi (come gli artigiani) alla cassa integrazione ordinaria o speciale.
In Veneto, al 15 settembre di quest’anno, le ore richieste di CIG in deroga sono circa 34 milioni.
A farne domanda sono state 5.529 aziende (un migliaio hanno fatto almeno due successive domande) per integrare la retribuzione di 32.000 propri dipendenti (un terzo dell’organico totale) sospesi dal lavoro.
Nel 70% dei casi (3.902) si tratta di imprese artigiane che hanno posto in CIG 20.207 dipendenti. Numerose anche le aziende del terziario: 614 tra grandi e piccole che hanno avuto autorizzate circa 2,3 milioni di ore per circa 3.800 dipendenti. Non mancano le aziende industriali che, consumato le disponibilità alle altre forme di Cig si sono rivolte a quella in deroga: sono più di 800 con più di 6 mila cassaintegrati.
La provincia di Vicenza, caratterizzata da sempre da una importante presenza di piccole imprese artigiane, da sola ha usufruito del 30% della CIG in deroga sia come ore autorizzate (oltre 6 milioni) che di aziende richiedenti (1.672) che, infine, di lavoratori coinvolti, 9.054.
Per avere un dato di confronto, nei 12 mesi del 2009 le aziende che presentarono domanda di CIG in deroga furono 6.660 per un totale di 28 milioni di ore e 39 mila lavoratori coinvolti.
L’utilizzo della CIG ha il grande merito di riconoscere una indennità ai lavoratori che altrimenti sarebbero stati licenziati e permettere alle imprese di non vedere vanificata la professionalità acquisita dai loro dipendenti in anni di esperienza. Ricordiamoci che prevalentemente sono imprese artigiane dove l’apporto del fattore uomo è determinante nella qualità del prodotto.
Dal punto di vista economico e sociale è necessario sottolineare almeno 3 situazioni: la prima, il nord est dalla fine dell’ultima guerra mondiale e dal boom economico non ha mai conosciuto un periodo di crisi così acuto come quello che si sta vivendo in questi ultimi 3 anni. Il benessere diffuso aveva convinto tutti che non si sarebbe mai arrestato e che tutto si sarebbe potuto risolvere, bastava lavorare sodo. Di conseguenza quasi tutti si sono impegnati, imprenditori e dipendenti, nell’acquisto di capannoni o case con mutuo o altri tipi d’impegni economici come uno o due figli all’università. Mai a nessuno è passato per la testa che si poteva sopperire alla mancanza del lavoro con “l’arte dell’arrangiarsi”, di vivere alla giornata e questo è un elemento di forte instabilità sociale oltre che economica, l’insicurezza in un mondo dove tutti erano sicuri.
Un’ ulteriore preoccupazione, lo accennavo prima, è la perdita delle professionalità acquisite, dei talenti espressi in quei microcosmi che sono le imprese artigiane dove un operaio è un dio, in quelle 4 mura del laboratorio, ma rischia di non essere nessuno al di fuori della propria professionalità di settore.
Per ultimo il disagio sociale che si sta vivendo al momento viene sorretto da un atteggiamento di speranza in un futuro di cambiamento.
In Veneto nelle famiglie, dell’attuale generazione, lavorano marito e moglie. Se la crisi ha colpito solo uno dei due si è ridotto il livello di benessere e si va avanti tirando la cinghia. Forse per questo motivo il disagio sociale è ancora gestibile.
Massimo Castellani
Segretario Generale Cisl Verona