Se l’aeroporto di Verona fosse un’impresa tradizionale e non partecipata da enti pubblici i libri contabili sarebbero in tribunale da molti mesi. Ma probabilmente il fatto che sia un’azienda pubblica ha permesso una gestione più superficiale fino a determinare un buco da oltre 80 milioni di euro.
Il distratto rischia però ora di coinvolgere non solo la struttura in se, che già sarebbe pesante per chi ci lavora, ma determinerebbe un gravissimo deficit per tutta l’economia scaligera, sia dal punto di vista economico che d’immagine.
Negli ultimi giorni le critiche nella gestione dello scalo sono state condite per lo più in salsa pre elettorale, cosa assolutamente evitabile, i problemi quando sono così grandi e importanti dovrebbero essere risolti con la partecipazione di tutti, senza atteggiamenti opportunisti e privi di proposte concreta.
Ora, viste le casse dell’aeroporto, è difficile pensare ad un risanamento e contemporaneamente ad un rilanci, perché mentre per far decollare un aereo serve carburante per rilanciare un aeroporto servono molti quattrini. Allora perché non fare come con Alitalia: una new eco nella quale trasferire tutte le attività non in perdita, lasciare i debiti nella vecchia società e proporre un concordato ai creditori? Ovviamente sarà necessario avviare anche un accertamento di responsabilità nei confronti degli amministratori. Mi rendo conto che la mia proposta, oltre che sintetica, potrà sembrare specie per i creditori impraticabile, ma non vedo altre scelte se non quella d’impoverire ancor più lo scalo veronese trasferendo i voli negli aeroporti vicini, i quali come falchi non stanno aspettando altro. Ovviamente nella nuova società i lavoratori dovranno essere rappresentati in un consiglio di vigilanza e controllo per evitare che situazioni come quelle che stiamo vivendo si ripetano.