Una riflessione-proposta aperta del Movimento Nonviolento su ciò che sta avvenendo in Tunisia, Egitto, Libia, ci può aiutare a capire cosa possiamo fare noi per non essere solo spettatori passivi.
Di là del canale di Sicilia, soffia il vento del cambiamento. Da alcune settimane, giovani e meno giovani sono scesi per strada in nome della libertà che non hanno conosciuto ancora. Molti sono morti, assassinati dai difensori dello status quo, dei privilegi e della corruzione che sono la norma e la regola di dittature e dispotismi vigenti da decenni. Ma l’onda è più forte della diga, e quello che sembrava impossibile si sta avverando: i vecchi detentori del potere sono costretti alla fuga e alla capitolazione.
E’ netta l’impressione che il pendolo della storia stia portando un vero e profondo cambiamento nel Maghreb e nel Mashrek, anche se è ancora troppo fresco il sangue versato per potere decifrare in modo chiaro i contorni di un nuovo ordine politico e sociale in questi paesi. E la stessa storia insegna che i privilegiati di un ordine ingiusto non mollano così facilmente il potere, mentre ci sono forze in agguato per riempire quello che può apparire come un vuoto politico, all’indomani della rivolta e della ribellione.
Quale che sia il destino di questo movimento, è innegabile che la sete di libertà, di giustizia e di democrazia di milioni di persone ha prevalso sulla sopraffazione in atto da troppo tempo. Il grido di rivolta corre veloce da un cellulare all’altro, da facebook a twitter, nella piazza virtuale di internet che diventa piazza reale, annunciando l’alba di una emancipazione rivendicata anche con la morte che mieta vittime innocenti e inermi. E’ difficile pensare che tutto potrebbe tornare come prima, anche se il Mediterraneo è la patria del pessimismo, avendo già conosciuto troppe volte nella propria storia il dominio della repressione e dell’ingiustizia, indifesa del potere e dei privilegi di tiranni e dittatori.
Mentre la sponda sud del mare bianco (come gli Arabi chiamano il Mediterraneo) si libera, vediamo la stanca sponda nord preoccuparsi principalmente dei propri interessi messi in pericolo dal rovesciamento dello status quo. Per anni, la realpolitik europea e nord americana ha rafforzato senza farsi troppi scrupoli, il dominio di rais e oppressori. Il rifornimento di petrolio e di gas, la vendita di armi e il mercato del cemento sono stati i motori delle relazioni con i regimi in atto, e non ci si è molto preoccupato della sorte di intere popolazioni costrette a subire il prezzo dell’intolleranza e della repressione.
Oggi appare in tutta la sua crudezza la mancanza di una vera politica mediterranea dell’Unione Europea e dei singoli stati europei, e preoccupano non poco le affermazioni di un possibile intervento anche militare da parte degli USA e dei paesi europei per “garantire la sicurezza” dei propri connazionali o per assicurare la continuità dell’approvvigionamento energetico, tanto cruciale per il modo insostenibile di vivere delle vecchie e opulenti popolazioni del mondo “ricco”. Invocare un intervento muscolare nei paesi del Mediterraneo meridionale evoca i recenti orrori ed errori delle guerre in Iraq e in Afghanistan. E avrebbe sicuramente come conseguenza di dirottare l’insurrezione verso un ennesimo conflitto del mondo arabo contro l’occidente.
Anni fa, il re Hassan II aveva chiesto di fare entrare il Marocco nell’Unione Europea. All’epoca ci furono risate per questa boutade politica, ma forse sarebbe stato più saggio prendere sul serio questa domanda. Oggi, la distanza fra una sponda e l’altra del mare nostrum si è ingrandita, e appare difficile un riavvicinamento in tempi brevi. Ma sarebbe intelligente cominciare almeno ad immaginare una alleanza mediterranea, che garantirebbe a tutti i popoli di questo mare di vivere in una grande spazio geo-politico, economico, culturale e ambientale condiviso e soprattutto in una area di pace. Già oggi, migliaia e migliaia di migranti attraversano il mare da sud a nord, mentre pensionati europei volano da nord a sud per godersi la vecchiaia nel Maghreb. Ci sono dei movimenti della storia che nessuna becera politica xenofoba potrà mai arrestare.
Allora, invece che preoccuparsi di ondate di rifugiati o di penuria di petrolio, faremmo bene, noi europei, ad ispirarci al vento fresco del cambiamento che soffia attraverso il Mediterraneo e il mondo Arabo, per riscoprire insieme alle popolazioni rivoltose, il buon vecchio gusto della libertà, che non può essere solo una parola in un testo costituzionale, ma deve essere una forza vibrante che attraversa tutta la società.
Sembra una utopia? Certo che lo è! Ma ricordiamoci che il Mediterraneo è la culla ancestrale di tante utopie che hanno cambiato il mondo.
Movimento Nonviolento
www.nonviolenti.org
Verona, 10 marzo 2011
P.S. Ci sembra utile riproporre, a completamento di questo nostro pensiero aperto, un articolo di Alexander Langer, scritto più di quindici anni fa, che già individuava i primi segnali di un risveglio del Mediterraneo. Le voci profetiche sono spesso inascoltate, ma indicano la strada che la storia percorre.
Fratellanza euromediterranea
di Alexander Langer
Tutti abbiamo passato alcuni anni in cui l’Europa occidentale ha dovuto – non senza fatica – riscoprire la sua “altra faccia della luna”, cioè i propri concittadini europei dell’Est. Caduti i muri e le cortine, una reciproca amputazione durata almeno mezzo secolo si sta lentamente ed assai contraddittoriamente rimarginando. Non si sono ammazzati vitelli grassi per il fratello ritrovato, piuttosto si è vista la penosa reazione di chi rifà i conti di un’eredità ritenuta già assegnata in esclusiva ed ora, invece, da spartire.
Oggi un’altra fratellanza affievolita o forse dimenticata è da riscoprire: quella euromediterranea. In anni passati in Italia si è assistiti ad un curioso dibattito geopolitico: chi voleva “entrare in Europa”, reclamava spesso la necessità di staccarsi dal Mediterraneo, “dall’Africa”, come talvolta si diceva in senso spregiativo. Anche nel resto d’Europa, l’attenzione al Mediterraneo negli ultimi anni ha subito alterne vicende, e si è ulteriormente resa precaria dalla guerra del Golfo in poi, dove si è invece consolidata una sorta di egemonia dell’asse USA-Stati petroliferi del Golfo (con l’Arabia Saudita in testa), con una forte influenza nel Mediterraneo che si è manifestata anche nella politica della spesa pubblica. Su ogni ECU investito dalla Comunità europea, se ne sono investiti dieci da parte degli USA ed altrettanti da parte dei petrolieri arabi. L’assenza di una comune politica mediterranea la si è vista non solo intorno alla guerra del Golfo: ancor più pesante la marginalità dell’Europa nel ritrovare la pace tra israeliani ed arabi, nel dialogo con i paesi “difficili” (come Libia, Siria, ecc.), in alcune ingiustizie ormai da troppo tempo sopportate (la divisione di Cipro, per esempio), nella ricerca di un nuovo ordine post-guerra-fredda anche nel Mediterraneo. La proposta, avanzata fin dai primi anni ’90, di organizzare per quest’area una sorta di “Helsinki del Mediterraneo”, cioè un quadro complessivo di accordi per la cooperazione e la sicurezza, è stata lasciata cadere; gli stessi governi che l’avevano caldeggiata (Spagna, Italia, poi anche Francia e Grecia), l’hanno messa nel dimenticatoio.
Oggi i governi si preoccupano di certi campanelli d’allarme, e tendono ad affrontarli, ma troppo spesso in modo solo repressivo: immigrazione incontrollata, tensioni sociali e “rivolte del pane”, la crescita dell’integralismo islamico, i rischi del traffico illegale di droga e di armi… insomma, i pericoli più che le opportunità. La Conferenza inter-governativa euromediterranea, indetta dall’Unione europea per il prossimo novembre 1995 sotto presidenza spagnola, si prefigge – assai positivamente – un nuovo partenariato euromediterraneo, ma rischia di limitarsi a puntare al controllo di alcuni di questi fenomeni ritenuti minacciosi, attraverso accordi di cooperazione e di finanziamento, senza osare un disegno più ambizioso: un partenariato che porti ad una vera e propria Comunità euromediterranea, a fianco ed intrecciata con l’Unione europea.
D’altra parte forse non si può chiedere ai governi quanto dai cittadini e dalla società civile non è ancora sufficientemente sentito e condiviso.
E’ questa oggi una sfida ed una possibilità di grande rilievo per i cittadini ed i gruppi europei e mediterranei. Non c’è nessun’altra area del mondo in cui in uno spazio così concentrato si trova un’eredità così comune e così diversificata insieme: al crocevia tra i tre continenti (Europa, Asia, Africa) e le tre grandi religioni monoteiste (Ebraismo, Cristianesimo, Islam), in una cornice ambientale e monumentale con caratteristiche fortemente comuni ed oggi gravemente minacciata.
Ecco perchè riteniamo che sia tempo di affrontare anche dal basso la costruzione di una nuova fratellanza euromediterranea, e di accompagnare criticamente ed attivamente il processo che si svolge al livello delle istituzioni e dei governi. Una parte del volontariato europeo impegnato per la pace, per la cooperazione, per l’ambiente, per la giustizia tra nord e sud, per uno sviluppo umano e sociale sostenibile, già opera in questa dimensione. Ma se vogliamo davvero ravvivare e rinnovare il patrimonio comune che lega comunità, popoli, cittadini, eco-sistemi, economie e società mediterranee, ed intrecciarle con quell’altro grande processo di integrazione che oggi faticosamente avviene tra l’Occidente e l’Oriente del continente europeo, bisognerà sviluppare una nuova sensibilità, e cogliere le molte occasioni di azione ed inter-azione.
Bolzano/Bozen-Bruxelles/Brussel, Maggio 1995 – editoriale per Verdeuropa.