Secondo la corte di cassazione (sentenza 20826, del 2 ottobre 2014) lo svolgimento di attività lavorativa di natura autonoma o parasubordinata da parte del lavoratore percettore dell’indennità di mobilità ne comporta la decadenza dal diritto al trattamento.
L’equiparazione per quanta riguarda la disciplina applicabile, sancita dall’ articolo 7, comma 12, della legge 223/1991, dell’indennità di mobilità al trattamento ordinario di disoccupazione conduce, secondo i giudici della corte, inequivocabilmente alla cessazione del godimento dell’ indennità di mobilità anche nel caso di svolgimento di attività lavorativa autonoma la quale, suscettibile di redditività, fa venir meno lo stato di bisogno che costituisce il presupposto per l’erogazione dei trattamenti di sostegno al reddito.
A nulla rileva la previsione di cui allo stesso articolo 7, comma 5, della legge 223/1991 che nel prevedere la possibilità per il lavoratore in mobilità che intraprenda un’attività autonoma di richiedere l’anticipazione in unica soluzione dell’intera indennità spettante assegna alla stessa, nella specifica circostanza, la funzione di contributo finanziario a favore del neo imprenditore perdendo, contestualmente, la sua connotazione di prestazione di sicurezza sociale.
La questione della compatibilità tra indennità di mobilità e lavoro autonomo è stata oggetto di altre pronunce della corte di cassazione (in senso contrario sentenza 6463/2004) e di interventi amministrativi (nota ministero del lavoro 2262/2008 e circolare INPS 67/2011) le cui indicazioni, orientate al mantenimento del diritto del lavoratore alla percezione dell’indennità di mobilità in presenza di svolgimento di attività di lavoro autonomo i cui redditi consentano la conservazione dello stato di disoccupazione (4.800 euro per il lavoro autonomo in senso stretto, 8.000 euro per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa anche nella modalità a progetto), sembrano trovare conferma nella decisione dei giudici della suprema corte in commento.