“La politica è un fare per gli altri, per i più deboli, per i lavoratori…” fu questo l’ideale a cui Gino Giugni si attenne lungo gli 82 anni della sua vita ed infatti legò il suo nome ad un opera di fondamentale importanza per la società italiana come lo statuto dei lavoratori.
Lo Statuto dei lavoratori è stato approvato dal Parlamento italiano più di trent’anni fa, il 20 maggio 1970: con lo Statuto i diritti fondamentali dei lavoratori dipendenti sono diventati oggetto di una legge dello Stato.
La legge era nata in un clima di forte mobilitazione e di richiesta di cambiamento che non riguardava solo i lavoratori italiani ma era diffuso in mezzo mondo: era il famoso Sessantotto. In Italia il conflitto politico-sindacale, iniziato nella primavera del 1968, avrebbe raggiunto il culmine nell’autunno caldo del 1969. In quel periodo sono state approvate leggi importanti come, nel novembre 1968, quella istitutiva sul divorzio (che nel 1974 è stata oggetto di un, fallito, referendum abrogativo).
E questa sul lavoro: nel 1969 venne istituita una Commissione governativa per l’elaborazione dello “Statuto dei lavoratori”, presieduta dal socialista Gino Giugni. Giugni è chiamato il “padre” dello Statuto perché ha anche steso il testo della legge, promulgata appunto nel 1970.
Lo Statuto non viene applicato nelle aziende con meno di 15 dipendenti.
Oggi molti concordano sulla necessità di riformare la legge, per adattarla alle esigenze di un mercato del lavoro molto diverso rispetto a trent’anni fa: ma iniziare la riforma del mercato del lavoro partendo dalla modifica dell’articolo 18 ha scatenato la reazione dei sindacati che invece avrebbero voluto iniziare una trattativa col governo sugli “ammortizzatori sociali”, cioè sul sistema di tutele per chi perde il posto di lavoro.
Il problema è l’uscita dalla crisi: per questo è bene parlarne ora, presentare il disegno di legge entro il 2014, per essere così pronti nel 2015.
Sono quattro i punti che devono stare alla base del nuovo sistema di tutela del lavoro e dei lavori:
1. Sistemare bene le coperture universali, in costanza di rapporto di lavoro, in modo tale che quei settori che, attualmente sono legati alla cassa integrazione in deroga, abbiamo invece una forma di protezione grazie alla bilateralità e alla cassa ordinaria.
2. L’altro pilastro deve essere il miglioramento delle protezioni per i collaboratori a progetto che si può ottenere aggiungendo al costo del lavoro dei collaboratori poco più dell’1% (di cui due terzi a carico del datore e un terzo a carico del lavoratore).
3. Necessario rendere più agevole l’accesso alle protezioni per i lavoratori temporanei, soprattutto per salvaguardare i più giovani che con le norme attuali (due anni di contributi) sono i più penalizzati.
4. Infine politiche attive efficaci per far tornare nel mercato chi ha perso il lavoro.
Può essere che non ci riusciamo; ma non possiamo permetterci di non tentare.
È possibile anche che l’accordo non si trovi, o lo si trovi più o meno esplicitamente nel senso di lasciare le cose come stanno. Purché si tenga ben presente che questo non corrisponde certamente all’interesse delle persone che sono fuori dal mercato del lavoro.